Oceani, boschi, città e borghi.
La realizzazione di “città spugna” e la creazione, nel mare, di una barriera corallina , di fronte alla città di New York, sono due esempi di interventi messi in atto per cercare di far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. Possiamo parlare, in entrambi i casi, di processi di adattamento delle strutture antropiche alla mutazione dei contesti in cui si trovano prevedendo la creazione di singolari alleanze con quella stessa natura che l’umanità ha sfruttato e depauperato soprattutto nell’ultimo secolo.
Il tema di questi due articoli e’ l’adattamento all’innalzamento del livello degli oceani e al fenomeno del dissesto idrogeologico.
Entrambi i fenomeni, tra l’altro strettamente collegati tra loro, sono causati dalle attività dell’uomo. Il primo, trova origine dallo scioglimento dei ghiacci perenni delle calotte polari originato dal cambiamento climatico causato, a sua volta, dalle emissioni di CO2 prodotte dalle attività umane. Il secondo, trae origine, invece, dalle pioggie sempre più copiose e violente che cadono su suoli impermeabilizzati a causa della cementificazione che è conseguenza di una intensa urbanizzazione.
Le soluzioni prospettate mettono in luce l’ingegno dei team di progettisti che, osservando il comportamento degli ecosistemi naturali, hanno cercato di identificare rimedi per mitigare l’impatto sulle nostre organizzazioni sociali dei fenomeni in atto.
Questi fenomeni, tuttavia, non contrastano il cambiamento e non incidono sulle cause del loro insorgere. Sono le linee di difesa di un’organizzazione che non vuole modificare i suoi comportamenti. In fin dei conti, azzardando un paragone con le cure mediche, sono come dei palliativi per ridurre temporaneamente i disagi avvertiti dal paziente ma non sono la soluzione della sua malattia. Ho il sospetto che bisognerebbe garantire al paziente una cura più decisa ricorrendo a rimedi più potenti.
Il tema centrale dei due articoli è la sopravvivenza delle città ai mutamenti del clima. Le città sono l’espressione complessa di un organizzazione sociale che è il frutto dell’ingegnosa e millenaria evoluzione dell’umanità. Le città moderne sono sorte per radunare masse di persone per consentire alle organizzazioni economiche (le imprese) di agire e per consumare quello che le imprese producono. L’economia ha modellato il nostro stile di vita, il modo con cui si struttura la famiglia e la società. Le città sono l’espressione più evidente e concreta di questa organizzazione e sono tanto più efficienti quanti più funzionali alle esigenze dell’economia. Oggi, purtroppo, ci stiamo accorgendo che tutto ciò sta incidendo sul contesto territoriale e ambientale in cui le stesse città sono inserite e, purtroppo, le mutazioni non sono favorevoli all’umanità.
E l’assunto di base da cui queste soluzioni traggono origine e che la nostra organizzazione non deve mutare e che è necessario attrezzarla con qualche strumento in più (più alberi e parchi) nell’entroterra e più barriere coralline sul fronte mare. Ma sarà proprio vero ? E fino a quanto queste soluzioni potrebbero alleviare i nostri disagi?
Credo che città dovrebbero ripensare la loro missione in un contesto che sta mutando velocemente. Le attuali trasformazioni, come la terziarizzazione e digitalizzazione di tutti i settori dell’economia, stanno modificando radicalmente l’esigenza di radunare le masse in opifici e luoghi di lavoro. L’introduzione, in tutto il mondo, di forme di lavoro a distanza potrebbe modificare la necessita’ dei singoli lavoratori di recarsi quotidianamente in edifici che sono spesso distanti dai luoghi di residenza. Naturalmente queste trasformazioni impatterebbero sia sulle esigenze di spostamento e quindi sull’organizzazione e dimensionamento delle infrastrutture di trasporto pubbliche e private, sia sulla struttura delle singole abitazioni, dei quartieri e delle città. Si dovrebbe ripensare la città come un complesso sistema di aggregazione di centri (i quartieri) più autonomi e indipendenti dove la vita (anche quella lavorativa) degli abitanti potrebbe svolgersi nella maggior parte di casi sul luogo di residenza con maggior tempo trascorso nel quartiere. La possibilità di far trascorre più tempo agli abitanti nel proprio luogo di lavoro restituirebbe a loro tempo per attività hobbistiche tra le quali la coltivazione e manutenzione di orti e giardini (magari negli spazi sottratti al cemento) riducendo l’abitudine di procurarsi cibo nei supermercati e riducendo la necessita’ di ricorrere a trasporti e favorendo l’insorgere di piccole botteghe di quartiere. Stesso discorso potrebbe valere per la produzionene di energia. Sicuramente trasformazioni quali un massiccia riforestazione di spazi, una decemetificazione del suolo potrebbero essere possibili anche riducendo le necessità di spostamento, cosa che ridurrebbe anche l’inquinamento dovuto ai mezzi di trasporto e conseguentemente la CO2. E qui rimando tutti alle nostre esperienze durante il periodo pandemico dove l’aria nelle città era diventata finalmente respirabile e, spesso, i quartieri delle città si erano organizzati per rendere più interessante la vita sociale.
Immagino, quindi, le città più simili ad una rete strettamente connessa di piccoli centri che potrebbero assomigliare ad una rete di fiorenti Borghi. Per L’Europa, questo modello è ampiamente conosciuto e studiato. Infatti, il continente e’ disseminato di Borghi di piccole o medie dimensioni che sono stati fiorenti fino al periodo pre industriale. I borghi sono stati e rimangono ancora esempi di corretta integrazione tra territorio e centri urbani ma, purtroppo, oggi, stanno subendo un processo di abbandono. Il ripensamento delle città, del loro stretto legame con il territorio e, magari, del loro legame con i Borghi già presenti e a loro prossimi, potrebbe essere un punto di forza per l’Europa, favorendo la creazione di un network dove le città potrebbero essere degli hub potenti connessi ai centri più piccoli. Entrambe le tipologie di organizzazioni potrebbero avvantaggiarsi del fitto interscambio di informazione scambiati consentendo ai piccoli borghi circostanti di ospitare persone , idee e energie. Sarebbe una soluzione dove, ognuno dovrebbe rinunciare a qualche vantaggio, ma dove nel medio tempo vincerebbero tutti sia le città, sia i borghi, sia l’economia e la natura e, soprattutto, noi che ci troviamo a raccogliere il guanto della sfida lanciato dalla crisi ecologica all’umanita’.